Al servizio
del Primo Ministro

È dal 2006 che Gaël Clavière è pasticciere presso l’Hôtel de Matignon, la residenza settecentesca del Primo Ministro di Francia a Parigi

Con Gaël Clavière la galleria di ritratti di “Pasticceria Internazionale” varca la soglia della pasticceria istituzionale, quella legata ai vertici del potere della Repubblica francese, della quale diviene strumento di seduzione che coadiuva l’azione diplomatica e di relazione bilaterale con i Paesi amici. Antoine Carême, che già officiava presso il Ministero degli Affari Esteri di Talleyrand, alla caduta di Napoleone I, con il conseguente esilio all’Elba, diventa l’archetipo stesso dello chef e del pasticciere investito del compito non solo di deliziare, ma anche di supportare un’operazione sofisticata di persuasione morale. Il profilo delle maestranze, in carica in luoghi dal funzionamento così delicato, deve avere caratteristiche specifiche e rispettare limiti altrove assenti. Ma non deve, in compenso, curarsi della redditività della produzione, essendo la vendita – ad esempio – assente tra le missioni assegnate. Così, tra ufficialità e privacy, Clavière, il pasticciere dello splendido Hôtel de Matignon, residenza settecentesca del Primo Ministro di Francia a pochi passi dall’elegante ambasciata d’Italia, svolge un ruolo quasi ambasciatoriale. E, allo stesso tempo, cura la dolcezza per illustri capi di stato internazionali e anche quella dei momenti più intimi di uomini di potere che, grazie alla magia dello zucchero e del cioccolato, perdono per un istante l’alterigia della loro carica e recuperano una spensieratezza spesso sacrificata sull’altare della funzione.

A tu per tu con Clavière

Nato a Tolosa, ultimo di 3 fratelli, a 12 anni va a vivere con la famiglia a La Teste-de-Buch, nel Bassin d’Arcachon, vicino a Bordeaux. A 13 anni trasloca nuovamente a Hossegor, nella regione delle Landes, sull’Oceano Atlantico, notissima ai surfisti. “Mio fratello Noël, che aveva 3 anni più di me, morì improvvisamente a causa di un incidente automobilistico. Un evento tragico che mi spinse con maggiore convinzione nel settore della gastronomia”, ricorda il nostro intervistato. Aveva già deciso di diventare panettiere, ma il triste accadimento accelera la sua volontà di proseguire in una direzione parallela, diventando pasticciere a 14 anni. “Mio padre, all’inizio contrario, mi ha proposto di fare un periodo di prova in una piccola panetteria. La pasticceria non era ancora il mestiere valorizzante che oggi tutti conosciamo e le sue titubanze erano, quindi, comprensibili”.

Quale percorso ha scelto per diventare pasticciere?

A 16 anni, nel 1998, ho ottenuto un CAP come cioccolatiere, pasticciere, gelatiere e confettiere a Cap Breton operando presso un piccolo pasticciere italiano, Donati, dove anche mio fratello, appena scomparso, aveva lavorato. Inconsciamente, mi rendo conto, avevo deciso di camminare sulle sue orme. Dopo 2 anni complicati, con poco tempo libero, ma con grande soddisfazione per la formazione che seguivo, sono partito per una breve vacanza a Parigi, da una cugina, dove ero ospite nella sua chambre de bonne. La domenica mi recavo alla funzione domenicale in un tempio protestante e l’impostazione teologica mi ha incuriosito a tal punto che ho deciso di approfondire e ho abbandonato per un anno la pasticceria, dai 18 ai 19 anni.

Cosa ha studiato?

Si imparava la Bibbia come un libro di storia e di fede, si approfondivano le questioni legate ai valori e alla natura profonda dell’essere umano.

Quali sono state le conseguenze di questa esperienza?

Dopo un anno intenso ed appagante, ho deciso di ritornare alla mia scelta precedente, ricco degli studi compiuti. Sono quindi ritornato nel sud e ho ripreso a lavorare alla Pâtisserie du Golf a Hossegor, dove ho avuto la fortuna di incontrare il pasticciere della residenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti a Parigi. Abbiamo parlato molto e siamo entrati talmente in sintonia che mi ha voluto aiutare a trovare un lavoro da Fauchon. È stato un passaggio fondamantale, che ha contribuito, e non poco, ad aiutarmi imboccare convintamente la via di questo mestiere. Dopo un periodo di grande arricchimento personale e di introspezione, il ritorno alla vita concreta non è stato facile, ma la nuova sfida mi ha aiutato a superare lo choc iniziale. Avevo 19 anni e sono risceso brutalmente nella prosaicità del quotidiano, conservando però saldi i valori appresi, che volevo trasmettere e condividere.

Cosa succedeva in quel momento in Place de la Madeleine?

Hermé aveva appena lasciato Fauchon e c’era Sébastien Gaudard, coadiuvato da Christophe Adam, Christophe Appert, oggi da Angelina, Dominique Ansel, oggi negli Stati Uniti. Dopo una breve esperienza invernale, tra il 1999 ed il 2000, mi sono spostato alla Maison du Chocolat, dal 2000 al 2005, dove ho imparato molto sul cioccolato, raggiungendo il livello di terzo responsabile di pasticceria. Nel frattempo facevo degli extra per scoprire tutte le declinazioni della pasticceria, mestiere in piena evoluzione in quel momento, collaborando con Potel&Chabot (che fa parte dello stesso gruppo de La Maison du Chocolat, ndr) durante il torneo tennistico Roland Garros e presso la residenza dell’Ambasciatore degli Stati Uniti. Da Potel&Chabot lavoravo con Ralph Edler al polo di produzione e poi presso le logge dell’impianto tennistico, con tavoli da 10 per gli ospiti VIP della manifestazione sportiva.

 

Che tipo di persona era al suo arrivo a Parigi?

Ero un ragazzo del sud, abbastanza ingenuo e pieno di meraviglia e stupefazione nei confronti di una città luminosa e vibrante. Fauchon negli anni 2000, insieme a Hédiard, erano le maison nelle quali entrare e specializzarsi. Era un’azienda molto puntigliosa nella scelta degli ingredienti e nella precisione delle ricette, che ancora oggi, a 41 anni, applico nel mio modo di procedere e lavorare. Ero umile e mi sono adattato ai ritmi e alle difficoltà, passando dal motorino al metró. Ero riuscito a trovare, grazie ad un amico, un piccolo appartamento nell’elegante Rue du Bac. Ero l’unico non aristocratico del palazzo, i miei vicini erano baroni e visconti, con cui parlavo di fede e religione. Risale a questo periodo l’incontro con l’amico Nicolas Cloiseau, con cui sono tutt’ora in contatto e seguivo anche l’evoluzione di Christophe Michalak, che sconvolgeva gli equilibri di tutta la nostra professione. Andavo spesso ad assaggiare le creazioni nelle pasticcerie della città per formare il palato ed affinarlo, fino a farlo evolvere ed arrivare a riconoscere, oggi, i prodotti di qualità.

Solo la pasticceria attirava la sua attenzione?

Andavo in palestra e frequentavo appassionati di filosofia. Sono stati anni di grande apprendimento sull’essere umano e sulla musica, ricordo che ascoltavo brani di stili diversissimi e potevo anche improvvisamente rifugiarmi nelle chiese, alla ricerca di silenzio e spiritualità.

Cosa è accaduto dopo l’importante esperienza alla Maison du Chocolat?

Mi è stato proposto un posto al Matignon, ma non ho accettato allora perché avevo appena firmato un contratto in qualità di second chef di pasticceria alla Maison du Chocolat stessa, nella squadra di Alex Bodereau, con cui ho trascorso 3 anni supplementari, dopo i quali mi è stato proposto nuovamente Matignon, nel 2006.

Che realtà ha trovato al suo arrivo in rue de Varenne?

Quando sono arrivato, chiamato per un posto di adjoint in pasticceria, c’era una piccola squadra in una piccola cucina, con ricette semplici. Era necessario essere molto reattivi e rispondere alle richieste del ministro. In origine volevo restarci per un anno e mezzo e, alla fine, sono ancora qui dopo 16 anni! Mi sono divertito molto con il primo ministro Dominique de Villepin, che apprezzava molto il mio lavoro ed era esigente sulle pièces en chocolat.

È stato un inizio motivante?

Sì ed ho acquisito molta fiducia in me stesso anche perché, fortunatamente, con il rimaneggiamento a livello ministeriale, è arrivato François Fillon e mi hanno proposto il ruolo di chef pâtissier. Con lui abbiamo passato 5 anni formidabili, con un’intensa attività di ricevimenti ed eventi, in un periodo in cui il budget dello Stato per questa tipologia di eventi era di gran lunga superiore all’attuale. Mi occupavo della creazione in maniera permanente e avevo poco tempo per sviluppare altri progetti.

Con l’arrivo successivo della sinistra al potere le cose sono cambiate?

No, l’attività è rimasta ampia e stimolante, contraddistinta da scambi di valori e buone relazioni con il gabinetto ministeriale.

Di cosa si occupa esattamente all’Hôtel de Matignon?

Curo la produzione delle colazioni, dei dolci del primo ministro e dei collaboratori, dei consiglieri, tutti i giorni della settimana, ma anche dei dolci per il personale, dei prodotti proposti per i cocktail, della consegna delle decorazioni, dei buffet parlamentari o di fine carriera. La nostra squadra è incaricata delle merende e dei pasti, pranzi e cene ufficiali. Viaggiamo ad una velocità di 1.200 dolci a settimana e a 12 dolci diversi a settimana. Si tratta di una proposta ricca ed in costante evoluzione, aspetto che ci impone una ricerca permanente ed una sintesi quotidiana.

Quali sono le competenze necessarie per lavorare al Matignon?

È necessario essere flessibili con il management, adattabili per la creazione pasticcera a seconda delle situazioni e delle richieste, ma anche attenti alle materie prime, al personale dell’office, della sala e, soprattutto, non bisogna prendere le cose troppo a cuore. Oltre all’eccellenza tecnica, per la quale bisogna praticare costantemente, è necessario possedere l’eccellenza individuale dello spirito, che deve essere nutrita attraverso la lettura, le arti, le scoperte, gli incontri, la filosofia. Mi piace prendere il meglio dalle discipline occidentali ed orientali: delle prime valorizzo la ricerca dello scopo come vettore di miglioramento di sé, mentre dell’Asia apprezzo l’importanza data al cammino che si compie e che rende migliori semplicemente percorrendolo, con consapevolezza.

Ci può dare un esempio concreto di questa varietà della sua funzione?

Con ogni ministro ho affrontato esigenze diverse, dalla pasticceria classica a quella creativa, fino a quella vegana. Con Jean Castex, mi diverto molto a realizzare creazioni del mezzogiorno francese, come i Pastis Gascon, che ho imparato durante il mio periodo di formazione.

Come si svolge il suo lavoro?

In genere facciamo 3 riunioni a settimana – lunedì, mercoledì e venerdì – per verificare l’agenda con eventuali modifiche. I vertici del Ministero mi lasciano carta bianca sulla scelta dei dolci e, in genere, accettano le mie proposte, che dipendono anche dalla scelta salata. Una volta approvata la mia idea da parte del gabinetto del Ministero, faccio difficilmente delle prove e uso molta improvvisazione per il dressage, ad esempio, anche per banchetti ufficiali.

Quali sono le sue fonti di ispirazione?

La natura, la musica e l’arte plastica. Mi reco nelle gallerie, anche di arte contemporanea.

Il suo tipo di contratto le consente di svolgere attività collaterali?

Ho un contratto di esclusività con Matignon per quanto riguarda la pasticceria, quindi non posso vendere e fare dolci per altri, ma intervengo spesso a seminari e manifestazioni. Ad esempio, 3 anni fa ho collaborato con l’École Camondo, i cui allievi dovevano lavorare sui sentimenti che scaturiscono dalle percezioni del palato e tradurli su carta, per poi lavorare sulle forme e la concezione di oggetti, essendo la scuola specializzata in design ed architettura d’interni.

Cosa le piace fare nel tempo libero?

Oltre a dedicarmi ai miei 2 figli, ho svolto attività di equitazione e pilotaggio di piccolo aerei, mentre ora mi dedico con piacere anche al tennis.

Ha altri progetti per il futuro?

Sono dotato di grande curiosità e ho numerose idee che sto sviluppando, che vanno dalla pubblicazione di un libro alla realizzazione di un cartone animato, fino a giungere all’allestimento di una mostra. Ciascuno di questi progetti ha un legame stretto con la pasticceria!

Domenico Biscardi
foto Benoît Granier, Maria Greco Naccarato